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Venalicia, i mercati degli schiavi


La ricchezza di Roma nasceva dalle risorse dei territori che conquistava e dall’organizzazione del loro sfruttamento e tra tutte le risorse che fece proprie la maggiore fu quella delle centinaia di migliaia di uomini che lavorarono nelle domus, nelle fattorie, nelle miniere e nei pistrina di tutto l’impero a volte solo per sopravvivere ed altre conquistando enormi ricchezze e potere: i servi ad vendendum, ovvero gli schiavi.
Il commercio degli schiavi era una vera e propria impresa commerciale disciplinata da norme e a cui si applicava una tassa chiamata venalicium, così come i mercanti di schiavi erano una specie particolare di mercatores, i venalicii, ben distinta da tutti gli altri.

Il grande afflusso di schiavi a Roma si ebbe a partire dal III-II sec. a.C., dopo le conquiste territoriali ad Oriente e nel Nord Africa, e per la gestione si andarono formalizzando degli usi e delle norme proprie di questo particolare commercio. Nacque un grande mercato che si può definire di “smistamento” nell’isola di Delo dove si arrivò a vendere ben 10.000 schiavi al giorno; nell’isola esistevano anche gli alloggi per uomini, donne e bambini in attesa di essere comperati dai venalicii che li avrebbero imbarcati sulle navi e portati nelle città dove si svolgevano le vendite; le città più importanti per questo mercato erano Capua e Roma.
Gli schiavi che arrivavano a Roma venivano alloggiati in magazzini in attesa che si svolgesse l’auctio venaliciaria, una vera e propria asta per la quale veniva fatta anche della pubblicità affiggendo dove consentito tabula o libellus o album in cui veniva indicato il giorno, l’ora ed il luogo dove si sarebbe tenuta la vendita.

Per la buona riuscita della vendita era necessario che l’auctiones si svolgesse in una zona centrale, con molto passaggio e comunque abbastanza vicina alle tabernae dove venivano tenuti gli schiavi ed inoltre doveva essere facilmente sorvegliabile per controllare eventuali tentativi di fuga. Nella zona prescelta se non vi era già una piattaforma su cui esporre la merce, ne veniva costruita una rialzata in legno in modo che tutti potevano vedere gli schiavi. A Roma per questo mercato fu scelto, in tempi repubblicani, l’Atrium, un’area scoperta circondata da un porticato che si trovava nella sella tra il Campidoglio ed il Quirinale.
La conferma che l’asta degli schiavi si teneva presso l’Atrium Publicum viene da una delle leggende mitiche di Roma, la storia di Virginia di cui si era invaghito il decemviro Appio Claudio e che di fronte ai suoi dinieghi escogita di farla dichiarare figlia di schiava per poterla comprare; il fine tragico della storia vuole che il padre di Virginia, militare tornasse a Roma e non potendo opporsi ad un potente, uccide egli stesso la figlia per sottrarla alla prepotenza del patrizio. Tutta la vicenda si svolge, come racconta Tito Livio (Ab Urbe condita III, 44-48), tra l’Atrium dove si svolgeva il mercati degli schiavi ed il Sacello di Venere Cloacina dove Lucio Virginio uccide la figlia.
L’Atrium – che diventerà in tempi successivi un complesso più imponente con due biblioteche e probabilmente una basilica - fu scelto come sede del mercato degli schiavi per la sua centralità, perché tramite il Vicus Jugarius era collegato all’approdo sul Tevere, per le numerose tabernae che si trovavano nel percorso e perché era vicino all’archivio dei censori presso i quali dovevano poi essere registrate le compravendite ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 29/11/2015)