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Pompeo Magno

Pompeo Magno

Plutarco lo definì il vero Alessandro romano, puro di cuore e di mente, distrutto dalle ciniche ambizioni della classe politica che lo attorniava; il Senato Romano gli assegnò l’appellativo di Magno e ne decretò tre trionfi, il suo più grande oppositore volle fosse riconosciuta la sua natura divina; nessuno quanto lui accrebbe i domini di Roma e l’oro nei forzieri dell’erario: il suo nome era Gneus Pompeius.
Gneo Pompeo Magno nacque nel Picenum nel 106 a.C., figlio di Gneo Pompeo Strabone e di Lucilia, appartenente ad una famiglia di ragno senatoriale e nipote di Gaio Lucilio intellettuale e politico del II sec. a.C., sostenitore delle ragioni aristocratiche ed avversario dei Gracchi ma conosciuto anche come uno dei primi poeti del genere della satura.
La gens Lucilia, originaria di Sessa Aurunca, era molto ricca e seppe sicuramente muoversi nel sistema di alleanze dell'aristocrazia patrizia tanto che a Lucilio venne affidato l'incarico di ospitare il figlio di Antioco III re di Siria e di seguirne la formazione ricevendone in cambio la costruzione a spese dello stato di una casa che si racconta fosse bellissima.
Non stupisce che Pompeo Strabone abbia visto nel matrimonio con Lucilia uno dei mezzi per migliorare la propria posizione sociale, d'altra parte Strabone fu un politico e generale avido verso il quale i romani nutrivano un “odio profondo e tenace” per essersi appropriato oltre misura dei bottini di guerra accumulando immense ricchezze. Gneo Pompeo, sin da giovane, fu considerato molto diversamente dal padre. Secondo quanto racconta Svetonio aveva l’abilità militare, l’eloquenza, la lealtà del carattere, l’affabilità nei rapporti umani ed era anche fisicamente bello.
La sua carriera militare iniziò a 17 anni come aiutante di campo del padre Pompeo Strabone, console nell’89 a.C.. Negli accampamenti militari il giovane Pompeo era solito gareggiare con i legionari più agili nel salto e correre con i più veloci; la sue abitudini quotidiane erano “spartane”, mangiava cibi semplici e sempre da seduto come i soldati, di notte dormiva poco e le ore della notte tolte al sonno le dedicava alla lettura.
Il padre al termine del periodo di consolato tenne, nelle sue terre nel Picenum, le legioni che gli erano state affidate dal Senato di Roma per combattere nella guerra sociale che si stava profilando contro i populares, guidati da Caio Mario e Cinna. Quando i capi dei populares si stavano avvicinando a Roma per prenderla, Strabone arrivò con le sue legioni sotto le mura di Roma per impedire a Cinna di entrare e sebbene proprio Pompeo avesse sventato il tentativo di un sicario di Cinna di assassinarlo, la sorte non gli fu propizia perché proprio sotto le mura lo colpì un fulmine uccidendolo.
Morto il padre, Pompeo ereditò i ricchissimi latifondi del Piceno e nel 87 a.C. non ancora ventenne subentrò nel comando delle tre legioni e con queste si unì alla fazione di Silla contro Mario, da allora divenne uno dei “campioni” degli optimates. Era cresciuto negli accampamenti con i veterani del padre di cui aveva saputo conquistare il rispetto ed ammirazione per il coraggio e le capacità nell’arte militare; si racconta di come avesse sfidato un guerriero celta ad un duello e di come lo avesse infilzato con un solo colpo di lancia. In battaglia era alla testa delle cariche dei suoi cavalieri e non si tirava mai indietro e per questo le sue legioni lo amavano.
Durante gli anni di potere di Mario, Pompeo fu espulso dal Senato e nel 86 a.C. accusato di essersi appropriato con il padre dei bottini di guerra. Secondo Plutarco che racconta la vicenda, Pompeo fu accusato di aver rubato delle reti da caccia e dei libri dal bottino di Ascoli, beni che si trovavano nella casa di Strabone ma che furono rubati dai sostenitori di Cinna; durante il processo egli seppe difendersi con la sua oratoria convincente e seppe conquistarsi anche la stima del pretore Antistio che favorì la sentenza di innocenza e volle dargli in mogli la figlia Antistia. Risale a quegli anni la sua relazione con Flora, una cortigiana di cui Pompeo si innamorò ricambiato ; per lui la donna, che era famosa per la sua bellezza tale che Cecilio Metello la fece posare per un dipinto che poi venne posto nel Tempio di Castore e Polluce, voleva interrompere la sua relazione con colui che la proteggeva. Pompeo la convinse a tornare da quello che però non volle più vederla; Flora si ammalò per lungo tempo perché anche Pompeo la lasciò ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.1 - 23/08/2021)