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Riti scaramantici nell’antica Roma

Riti scaramantici nell’antica Roma

Alla fortuna i romani attribuivano una grande importanza e non mancavano mai di rivolgerle preghiere anche per quanto accadeva nei fatti quotidiani e comunque non disdegnavano anche di ricorrere a riti scaramantici come sembra, secondo quanto raccontava Plinio il Vecchio, facesse anche Giulio Cesare. Secondo l'aneddoto riportato nella Naturalis Historia e che risale all'ultimo periodo della vita quando era già dittatore, sembra che Cesare dopo una rovinosa caduta quando saliva su un carro avesse l'abitudine di ripetere per tre volte uno scongiuro al fine di allontanare il pericolo del ripetersi della brutta esperienza. I romani credevano nel potere delle parole e spesso ricorrevano a filastrocche composte di parole incomprensibili a cui veniva riconosciuto un potere magico e tanto più le parole erano incomprensibili tanto maggiore era il loro potere di sovvertire l'ordine delle cose.
Ogni fatto della vita quotidiana aveva i suoi riti scaramantici a partire dal mattino .
Anche a tavola c'erano comportamenti che andavano evitati come ad esempio i discorsi negativi e se succedeva si dovevano esorcizzare con gesti e/o parole e come ricorda Plinio

Incendia inter epulas nominata aquis sub mensam profusis abominamur

se si parlava di incendi si doveva versare dell'acqua sotto il tavolo. Tra le molte cose che non si dovevano fare c'era non togliere il portavivande mentre qualcuno stava bevendo perchè come raccomandava sempre Plinio “repositorium tolli inauspicatissimum iudicatur” e per ultimo non iniziare a spazzare il pavimento mentre qualcuno si trovava ancora nel triclinium.
Questo comportamento scaramantico fa sicuramente da corollario alla consuetudine di lasciare tutti gli avanzi in bella vista sul pavimento, consuetudine, immortalata anche nei famosissimi mosaici definiti “Asaratos Oikos”, era la rappresentazione della fortuna e dell'opulenza della casa e spazzare gli avanzi veniva interpretato come scacciare la fortuna ed inoltre gli avanzi erano considerati il nutrimento delle anime dei morti e nei tempi arcaici venivano addirittura portati sulle tombe.
Molti dei riti scaramantici che venivano messi in atto durante il convivio servivano ad esorcizzare la morte e Petronio nel Satyricon ne fornisce una descrizione ampia quando Trimalcione deve allontanare i presagi nefasti di un gallo che canta all'inizio di un banchetto.
Il canto del gallo era considerato presagio di due grandi pericoli: l'incendio della casa e/o la morte di un vicino. Per allontanare queste evenienze negative Trimalcione fa versare vino sotto la tavola perchè i morti non potevano mangiare con i vivi, fa bagnare le lampade per purificarle affinché non diventino simboli della veglia funebre ed infine passa l'anello che portava abitualmente alla mano sinistra, nella mano destra creando così un altro Trimalcione, nomen della persona reale al fine di ingannare la morte.
Nel contesto della mensa alcuni oggetti assumono valenze magiche, perciò, prima di accostarsi alla tavola, vige l’usanza di togliersi anelli e cinture, che simboleggiano i cerchi magici a delimitazione degli spazi posseduti dalle presenze demoniache. Le lucerne non devono essere spente a conclusione del pasto, per non disperdere la sacralità del fuoco. 
Molte delle credenze romane affondano le loro radici in paure talmente profonde, ma inconsciamente condivisibili da parte dell’animo umano, da essere tramandate anche a distanza di secoli. Ad esempio, l’avvertenza di sminuzzare sempre i gusci delle uova, dopo averle consumate, ha un singolare riscontro in un timore superstizioso diffuso in alcuni paesi dell’Italia: agli inizi del XX sec., si attribuiva alle "streghe" il sinistro potere di compiere sortilegi proprio con i gusci delle uova.
Anche per le celebrazioni più importanti come il Trionfo dei generali vincitori delle guerre era usanza ricorrere a oggetti scaramantici come il fallo, detto fascinum, che veniva appeso sotto il carro del trionfatore e che, insieme con le invettive che veniva pronunciate dai soldati, serviva a tutelare il generale vittorioso dall'invidia degli altri per la grande fortuna che aveva avuto.
Allo stesso modo vi erano oggetti che portavano fortuna e se ogni bambino romano portava una bulla al collo fino alla fine dell'adolescenza, le bambine avevano come amuleto una lunula, ovvero un pendaglio a forma di luna crescente; la lunula come la bulla potevano essere di molti materiali diversi in relazione al ceto sociale.
I riti scaramantici dei romani erano un'emanazione dei rituali di divinazione a cui erano preposti gli aruspici che avevano anche il compito di suggerire quanto necessario per evitare i pericoli di un corso del destino già segnato; i rimedi suggeriti degli aruspici consistevano in formule magiche.
Ma evidentemente non tutti credevano alla potenza delle formule se Plinio il Vecchio scriveva: “Secondo molti autori le formule hanno la facoltà di cambiare il corso di grandi avvenimenti stabiliti dal fato ed annunciati dai presagi.”



di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 06/12/2019)