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Mistero del rosone nelle Stanze di Raffaello


Nel 1509 Papa Giulio II diede a Raffaello, appena arrivato a Roma, l’incarico di affrescare le pareti e la volta delle stanze, poste al secondo piano del Palazzo Vaticano, che aveva scelto come propria residenza privata.
Le stanze erano grandi ambienti che richiesero molto impegno per Raffaello che si avvalse dell’opera di alcuni allievi; il lavoro andò avanti fino al 1520, anno in cui Raffaello morì per cui l’opera fu continuata dagli allievi che la terminarono nel 1524.
La Stanza della Segnatura e poi quella di Eliodoro furono affrescate su incarico di Giulio II che morì nel 1513, il successore Leone X volle che Raffaello dipingesse sulle pareti della stanza che aveva scelto come sala da pranzo le storie di due pontefici che avevano il suo stesso nome: Leone III che incoronò Carlo Magno e Leone IV, durante il cui pontificato si verificò l’Incendio di Borgo. Raffaello rappresentò lo spaventoso incendio ed il Papa che aveva chiesto l’intervento divino perché l’incendio si spegnesse; da allora la sala è detta Stanza dell’Incendio di Borgo.
L’origine di Borgo è spiegata dal suo stesso nome: era il quartiere nato dall’accampamento, burg, delle truppe dei Goti di Vitige quando nel 537 si accamparono per oltre un anno ( dal febbraio del 537 al marzo del 538) sotto le mura della fortezza in cui era stato trasformato il Mausoleo di Adriano, cingendolo d’assedio.
Per un anno l’Urbe era stata saccheggiata e distrutta ed il popolino trovò modo si sopravvivere prestando servizio attorno alle tende e baraccamenti dei Goti; quando questi lasciarono Roma il popolino rimase a vivere nei pressi del Vaticano. Il quartiere era anche noto come borgo dei sassoni e nel 847, anno horribilis per Roma che sotto la costante minaccia del’invasione saracena sopportò anche un terremoto, fu distrutto da un tremendo incendio; la storia vuole che quando il Papa Leone IV si affacciò dalla Loggia per benedire il popolo di Roma, l’incendio subito si spense.
Per rappresentare questa vicenda miracolosa che però molto differiva dai temi che Raffaello aveva trattato nelle altre stanze, Raffaello cercò delle soluzioni pittoriche innovative per le quali si ispirò anche ad altri pittori contemporanei che come lui erano interessati a reinterpretare le lezioni dell’arte classica secondo nuove regole. Ecco allora che nei richiami letterari all’Eneide s’ispira a forme michelangiolesche e in quelli architettonici ai tempi dei Dioscuri e di Saturno rappresentati come quinte si sente l’nflusso di Andrea Mantegna, tuttavia un’analisi a sé riguarda il rosone dell’antica basilica di san Pietro.
Gli studiosi d’arte sono d’accordo sull’assenza della mano di Raffaello nella realizzazione dell’affresco che sarebbe dovuto per la quasi totalità ai suoi allievi, mentre il maestro avrebbe studiato l’impianto dell’affresco inserendo la grande novità delle architetture romane a fare da quinte, segnale di un nascente manierismo sulla geometria composita dell’arte rinascimentale. Altro tratto distintivo è l’elemento architettonico del rosone nel timpano della facciata della Basilica Costantiniana di San Pietro ; la facciata dell’affresco già si distacca da quella che fu in realtà e diverso è anche il rosone nel quale possono ricercarsi valori simbolici nascosti; il rosone dell’affresco ha la particolarità di avere un numero di raggi uguale a quello del Duomo di Orvieto ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 22/04/2016)