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Tevere e torrenti arcaici

Cicerone nel suo De Natura Deorum (III, 52) descrivendo alcuni dei riti dell'arte divinatoria cita In augurum precatione Tiberinum, Spinonum, Almonum,Nodinum, alia propinquorum fluminum nomina videmus, accomunando alcuni dei corsi d'acqua che bagnavano Roma in età arcaica, alcuni dei quali già non più visibili alla fine del I secolo a.C. e che gli archeologi per lungo tempo seguendo le indicazioni letterarie hanno cercato di identificare.
Secondo Rodolfo Lanciani la valle tra il Quirinale e l’Esquilino era percorsa da un torrentello, identificato dallo studioso con lo Spinon, che raccoglieva le acque provenienti dal Vicus Longus, dal Patricius e dopo essere sceso dalla Suburra attraversava l'Argiletum, il Foro e il Velabro prima di raggiungere il Tevere.
Ma questo ero solo uno dei torrenti che attraversavano la città per andare a gettarsi nel Tevere; in totale i torrenti che arrivavano al Tevere, dentro ed in prossimità dell'Urbe, erano:

  • Amnis Petronia che nasceva dalla Fons Cati e poi raccoglieva le acque delle risorgive che si trovavano tra il Pincio ed il Quirinale per correre poi tra gli stagni del Campo di Marte fino alla zona a nord dell’attuale ponte Garibaldi;
  • Spinon raccoglieva le acque tra il Quirinale e l’Esquilino ed attraverso l’Argileto, il Foro ed il Velabro, le portava all’attuale uscita della Cloaca Maxima, il suo corso nella parte alta corrisponde al percorso di Via Nazionale;
  • Nodinus, raccoglieva le acque tra l’Esquilino, il Celio e l’Aventino e le convogliava poco più a valle dello sbocco della Cloaca Maxima ed il suo corso seguiva l'odierno tracciato di Via Cavour;
  • Almo, nasceva nei colli Albani, nella mitica Silva Laurentina dove viveva Pico e Fauno, le ninfe Venilia, Giuturna e Albunea finanche territorio su cui estendeva il suo potere l'arcaica Maga Circe, e per questo considerato fiume sacro; oggi il fiume non è più visibile e da dentro le mura Aureliane scorre sotterraneo come una fogna fino al Tevere in cui si getta poco oltre l'attuale Ponte dell'Industria.

L’esistenza di questi torrenti determinava però numerosi impedimenti allo sviluppo della città, come l’impaludamento del fondo delle valli attraversate. La prima opera di convogliamento delle acque fu realizzata all'inizio del VII secolo a.C. proprio con l’obiettivo di bonificare gli immensi acquitrini che occupavano le ampie vallate alla base dei colli; in realtà si trattò della costruzione di argini in pietra gabina per lo Spinone e può essere considerata la prima cloaca di Roma anche se si sviluppava a cielo aperto.
Questi torrenti che rendevano difficile la vita alle comunità arcaiche che si erano stanziate presso il guado del Tiber erano molto meno importanti dei fiumi che facevano confluire nel Tevere l'acqua che lo rendeva navigabile e primo fra tutti il Parensius, rinominato per la leggenda Anio dal nome del re etrusco che vi morì annegato. Il Parensius od Anio, e Aniene secondo la denominazione attaule, era ed è ancora il principale affluente di sinistra del Tevere nel quale confluisce appena prima di entrare a Roma nei pressi di quelle che in tempi arcaici erano le terre dei Fidenati e Amtennati.
Diversamente accadde per l'Amnis Petronia che periodicamente rendeva impraticabile il Campo di Marte fino a formare in un'area particolarmente depressa il Palus Caprae, zona che come descrive egregiamente il nome era un luogo adatto solo all'abbeveraggio delle capre.
Alla fine del I secolo a.C. sarà Marco Vipsanio Agrippa a bonificare la zona irregimentando le acque dell'Amnis Petronia nell'Euripo che raccogliendo anche le acque che uscivano dalle sue terme le portava a gettarsi nel Tevere poco più in là del Tarentum.
Le acque dell'Aminis Petronia scorrono ancora al di sotto di una delle vie centrali di Roma – Corso Vittorio Emanuele - e nei momenti di maggiore portata arrivano ad allagare alcuni ambienti sotterranei dell Palazzo della Cancelleria, gli stessi dove è stata ritrovata la tomba di Aulo Irzio. Quale fosse l'etimologia del nome già era un interrogativo che si ponevano gli accademici della Crusca nel XVIII secolo.
Il più noto dei corsi d'acqua che affluivano al Tevere è il torrente Almone, il fiume sacro dei romani che ancora nel XVI secolo scorreva in superfiche come si rileva dalla pianta di Roma del Bufalini (1551) per gettarsi nel Tevere in proddimità della Basilica di San Paolo fuori le mura.
Nel suo scorrere verso la foce, uscito dalle mura, il corso del Tevere era alimentato da torrenti che per l'eseguità della portata in condizioni normali venivano indicati come fossi o fossati ovvero il Fosso del Ciuccio, il Fosso dell'Acqua Acetosa ed il Fosso Vallerano ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 01/02/2023)




Era pre-arcaica – Bacino del Tevere

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Fiume Aniene, medio corso nei pressi di Trevi nel Lazio – IT

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Rodolfo Lanciani – Morfologia e idrografia di Roma antica, 1888

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Le acque dell\'Amnis Petronia nei sotterranei di Palazzo della Cancelleria, Roma IT

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Il corso dell'Almone dopo l\'Aventino e prima di gettarsi nel Tevere. Piata di Leoardo Bufalni, 1551

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