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Gli scriptoria del Tardo Impero


La storia antica è piena di racconti su biblioteche che bruciano e non solo per colpa dei fulmini o di lucerne cadute, ma anche e soprattutto per i saccheggi e vandalismi da parte di invasori e, non ultima tra le cause, la volontà politica di sopraffazione dei vinti. A Roma fu l'avvento del cristianesimo a causare la distruzione di moltissimi dei libri di autori antichi e soprattutto pagani.
Dopo che Teodosio riconobbe come unica religione il Cristianesimo e fece chiudere i templi pagani, la consuetudine di cancellare gli oppositori distruggendone la parola scritta portò i cristiani a bruciare tutti i libri che appartenevano ai tempi precedenti ed in modo così indiscriminato che nel V secolo il governatore di Costantinopoli fu costretto ad emettere un decreto con il fine di salvaguardare il patrimonio di libri che si trovava a Roma; ma non bastò una legge a difendere i libri che non erano considerati “cristiani”e che continuarono ad essere bruciati. Più fortuna ebbero i cosiddetti autori ecclesiastici per i quali Cassiodoro, senatore, letterato romano e segretario particolare di Teodorico, cercò di realizzare un progetto, il Vivarium, per la traduzione dal greco al latino di tutti i testi conosciuti.
Uomo di vasta cultura fu lui che avviò quel grande movimento che avrebbe consentito di salvaguardare e tramandare il patrimonio letterario degli antichi, ma essendo anche uomo delle istituzioni seppe individuare il modo con cui farlo: diede disposizione che nei monasteri i monaci non solo dovevano dedicarsi al lavoro materiale, all'agricoltura, ma anche trascrivere manoscritti e così aiutare nel trasmettere la grande cultura alle future generazioni.
In questo grande progetto che lo impegnò durante tutta la sua lunga vita (485-580), fu anche aiutato sia dall’imperatore che dai papi, in particolare Papa Agapito istituì una biblioteca che aveva a modello quella di Alessandria, in cui si dovevano custodire tutti i manoscritti dei monaci del Vivarium. Agapito realizzò la sua biblioteca sul Celio dove ancora oggi i resti di un’aula absidata sono indicati come “Biblioteca di Agapito” anche se gli archeologi ritengono che pur essendo in quell’area la biblioteca si trovasse in effetti dove ora sorge il Monastero di Sant’Andrea. La biblioteca come luogo di meditazione e scrittura – si sa che qui San Gregorio scrisse i Dialoghi – è andata perduta e così anche i manoscritti che custodiva.
Al lavoro degli scriptoria del tardo impero dobbiamo la memoria di parte dell'opera di Tito Livio “Ab Urbe Condita” di cui sono stati persi ben 107 dei 142 libri di cui era composta; l'opera era molto grande e quindi circolava in parti di dieci libri ciascuna e per questo che esistono ancora i libri dal 1 al 10, dal 21 al 45 più altri scarsi frammenti di altri libri. Il contenuto di questi libri perduti ci è arrivato attraverso le “periochae” ovvero i sommari che furono compilati tra il III ed il IV secolo d.C. Gli studiosi ritengono che le periochae liviane siano state scritte di “seconda mano”, ovvero realizzate su epitome dell'opera di Tito Livio. Anche di un autore latino molto fecondo come Terenzio Varrone: dei 150 libri delle Saturae Menippeae – componimenti satirici in parte in prosa ed in parte in versi riguardanti personaggi ed avvenimenti suoi contemporanei – ci rimangono appena i titoli di 70 e circa 600 versi; delle opere erudite o storiche ci rimangono solo le citazioni che fecero autori tardo-antichi come quelle di S. Agostino dai 16 libri del Rerum Divinarum che trattavano degli dei, dei templi, dei riti e delle cerimonie ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.0 - 06/09/2016)