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Il nome segreto delle donne romane


Nell’antica Roma il nome individuale di una donna doveva rimanere segreto, infatti mentre gli uomini hanno il loro nome, poi il nome della gens ed infine i cognomen, le donne son indicate sempre con il nome della gens cui appartengono – cosa che spesso induce errori nelle trattazioni storiche- e vengono distinti con maior o minor in base all’anzianità o con un numero ordinale, secunda, tertia
Quando nasceva una bambina dopo otto giorni si doveva effettuare il primo rito la lustratio: la bambina veniva pulita con l’acqua e le veniva dato il suo nome, il praenomen. La cerimonia avveniva all’interno della casa famiglia e vi partecipavano solo i familiari e i parenti e solo a loro era noto il nome dato alla bambina che sarebbe rimasto così segreto per tutta la sua vita.
Nel Medaglione di Lucilla, emesse per la figlia di Marco Aurelio nel 184 d.C., è perfettamente rappresentato il rito della lustratio ( purificazione), la particolarità di questo ed altri medaglioni delle imperatrici ( Faustina, Crispina e Julia Domna) e che tutti sono senza legenda, quasi a significare ciò che è conosciuto ma che non si deve nominare.
Il nome della donna non viene mai rivelato, anche quando si sposa; durante il rituale quando viene posta la domanda “Qual’è il tuo nome?” al momento di entrare nella casa del marito, la sposa risponde di chiamarsi con lo stesso nome dello sposo e da quel momento il nome della sua gens sarà sostituito da quello del marito, oppure vi sarà aggiunto.
Anche nelle epigrafi funerarie non compare mai il vero nome della donna che rimane sempre e solo figlia, madre o moglie di qualcuno.
Varrone e Festo Avieno riferiscono che il vero nome della donna non viene rivelato non per un divieto ma per un’antica consuetudine. Tentando una interpretazione della consuetudine il nome individuale (praenomen) non solo afferma l’esistenza della persona, non solo la evoca ma la fa essere quello che è: la donna è il suo nome secondo dei valori arcaici connessi ad archetipi mitici. Così’ come secondo il sistema arcaico il nome delle cose equivale a creale, - Eschilo ricorda che il Re con il suo nome realizza tutto -, il nome individuale era considerato una parte della persona e pronunciarlo equivaleva ad avere un contatto fisico con la donna.
Nella sua storia la società romana ha sempre nettamente diviso ciò che era privato da ciò che era pubblico, il dentro dal fuori, e portando all’estremo questa dicotomizzazione si può tentare una spiegazione in chiave esoterica; la società romana si fondava sulla familia, anche se nel senso di gens, ed in qualsiasi periodo il senso di appartenenza è fortissimo tanto da coinvolgere anche i servi, schiavi e liberti, e la famiglia esiste in quanto ha un’immagine pubblica affidata agli uomini ma attinge la sua forza e la sua rispettabilità dalla condotta delle donne che custodiscono nella loro anima il quid primitivo e mitico da cui tutta la famiglia attinge ed è ragione della propria esistenza. Ed allora la donna che è custode dell'anima stessa della famiglia non solo di fronte al mondo sarà conosciuta con il nome di ciò che rappresenta, la sua gens, ma nessuno dovrà conoscere il suo praenomen perché se altri uomini lo pronunciavano, simbolicamente privavano la gens della certezza della discendenza.
Il nome era così il limite dell'intangibilità del corpo, non a caso infatti le sole donne che avevano un nome erano le prostitute ...



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di M.L. ©RIPRODUZIONE RISERVATA (Ed 1.1 - 06/03/2017)